Dagli anni cinquanta in poi , quasi sino ad oggi, viviamo nella cosiddetta civiltà dei consumi (pur limitati ora). Ci riferiamo alla floridezza ossia al benessere (pur contenuto) ad ogni livello, dopo secoli di profonda e generale miseria economica e marginalità sociale.
Società dei consumi significa televisori ed elettrodomestici in ogni casa, l’automobile per lui e per lei, il motorino per i ragazzi, il guardaroba stravagante che dura solo una stagione, l’invasione degli oggetti di plastica che servono a mille usi e poi si gettano via, i detersivi e gli spray che evitano la fatica di lavare, di stirare, di lucidare… la nostra è per eccellenza la società affluente tecnotronica, dove la microelettronica è regina. La società delle meraviglie informatiche. La vita quotidiana professionale, familiare è sempre maggiormente popolata di nuovi inquilini: efficienti e costosi aggeggi elettronici: il cellulare, il videotelefono, la televisione satellitare, il videoregistratore,
Ritrovati di una tecnica agguerrita per rendere più facile e comoda la vita in casa. Dietro tutto questo ci sono le ferree leggi di una economia che, per sopravvivere, deve produrre e fare assorbire dal mercato sempre nuovi beni di consumo, ma c’è anche una società che, sollecitata in questa direzione, ha perduto il tradizionale senso della misura e rifiuta la fatica e il sacrificio, per cercare unicamente il proprio benessere. Era fatale che, su questo terreno, l’egoismo individuale e collettivo trovasse la spinta a moltiplicare le sue richieste di soddisfazione dei bisogni materiali, molto al di là di quanto non sia veramente utile alla promozione umana e sociale, rinnovando così in veste nuova quello che è un antico vizio dell’uomo: la lussuria.
Ma oggi la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continua a vivere una quotidiana precarietà, con conseguenze spesso drammatiche. E’ enorme la quota degli italiani che si sente colpita personalmente dalla crisi economica (il 66%). Eppure, il 56% ritiene che la crisi possa avere in sé anche un carattere positivo, «primo fra tutti» la possibilità che porti un cambiamento positivo nella società. Come se la crisi portasse una sorta di purificazione. Ormai, solo uno zoccolo duro del 25% degli italiani ritiene di non avere particolari preoccupazioni mentre un 22% la considera un fenomeno passeggero. La stragrande maggioranza degli italiani ha già cambiato abitudini di vita con un’attenzione quasi spasmodica al risparmio e un diverso uso del tempo: per la famiglia si è disponibili a fare più sacrifici e più lavori purché adotti uno stile di vita più sobrio. E ricordiamo che prima del boom economico c’era ben poco da buttare nei cassonetti della spazzatura. Tutto si conservava e consumava. Non ci farebbe male rispolverare l’antica parola dell’ascetica cristiana: sobrietà, temperanza, parsimonia, misura in tutte le cose, equilibrio. E’ necessario educare le giovani generazioni ai suddetti valori per soccorrere i poveri.
Papa Francesco ci chiama a «una stagione di rinnovamento». L’attenzione del Pontefice agli ultimi e ai poveri parla di una Chiesa «che sta diventando ancora di più la voce della speranza degli oppressi in ogni angolo del mondo». Il Papa: “finchè non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri… non si risolveranno i problemi del mondo”. “La politica, tanto denigrata” – afferma – “è una delle forme più preziose di carità”. “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore… la vita dei poveri!”. Poi un monito: “Qualsiasi comunità all’interno della Chiesa” che si dimentica dei poveri corre “il rischio della dissoluzione”. Bergoglio invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, gli immigrati sempre più numerosi”.
L’azione caritativa oggi può e deve abbracciare assolutamente tutti gli uomini e tutte quante le necessità. Dovunque c’è chi manca di cibo e bevanda, di vestito, di casa, di medicine, di lavoro, di istruzione, dei mezzi necessari per condurre una vita veramente umana, chi è afflitto da tribolazioni e da malferma salute, chi soffre l’esilio o il carcere, ivi la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto materiale, spirituale e psicologico.
Quest’obbligo s’impone, prima che a ogni altro, ai singoli uomini e popoli che vivono nella prosperità.
In conclusione la Chiesa ha oggi un ruolo particolarmente importante nel far crescere fra gli uomini la coscienza della loro solidarietà, nell’educarli a un comportamento sobrio e responsabile, a reagire agli eccessi e agli sprechi della «società dei consumi», sprechi ed eccessi le cui conseguenze morali, economiche, ecologiche, stanno ormai davanti agli occhi di tutti coloro che sono sufficientemente onesti per vedere.
Don Camillo Perrone, Parroco emerito di San Severino Lucano