[di Don Camillo Perrone]
<<La gioia non come accessorio al Vangelo, ma come elemento centrale di esso e dell’annuncio>>. L’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” parte da questo punto forte. Il Papa esorta a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” e ad essere segni di speranza. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione”, vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista”. “Anche i credenti corrono questo rischio”, perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”: un evangelizzatore non dovrebbe avere mai “una faccia da funerale”.
Il Papa sottolinea più volte di non cedere al pessimismo, perché questo è il fondamento del cristianesimo. Senza speranza non c’è fede. Questo non significa che il Papa ci chieda di considerare facile il Vangelo. Il Vangelo non è facile, ma ha in sé la gioia più profonda.
Chiede una Chiesa e dei cristiani “in uscita”, che si facciano compagni. Una Chiesa che ha “l’odore delle pecore”, come dice il Papa, è una Chiesa feconda, che fruttifica.
Ma perché il Papa ha voluto sottolineare che i poveri sono una categoria teologica più che sociologica?
Perché è il Vangelo che ce lo dice. L’idolatria del denaro, le politiche che narcotizzano i Paesi più poveri, l’inganno delle “ricadute favorevoli” di azioni che stritolano le persone vanno combattute alla luce del Vangelo.
Bergoglio è molto chiaro nel condannare la cultura dello scarto, una cultura ancora peggiore di quella dello sfruttamento perché toglie di mezzo i poveri, i deboli, chi non ce la fa.
E deve esserci un maggior protagonismo all’interno della Chiesa e anche fuori. I cristiani devono avere il coraggio di uscire.
Sottolinea poi la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti spesso “al margine delle decisioni”, cioè da “un eccessivo clericalismo”.
A proposito si è avuto in questi giorni il richiamo dei vescovi lucani a stare insieme, mettendo da parte facili ed inutili polveroni polemici sullo “sblocca Italia”, per individuare il percorso della ragionevolezza, della fermezza e della progettualità sociale che deve ispirare la classe politica e dirigente della Regione Basilicata a costruire condizioni, occasioni ed opportunità di ripresa.
Inoltre la famiglia, “cellula fondamentale della società – come afferma il Papa – attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società”, il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che snatura i vincoli familiari”.
Ancora – riferendoci sempre alla “Evangelii gaudium” – in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam: il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei Paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni”.
E recentemente ha detto: <<La guerra è una follia>>. Al Sacrario militare di Redipuglia Papa Francesco ha voluto ribadire che quella di oggi è «una terza guerra mondiale, combattuta a pezzi», puntando severamente il dito contro i «pianificatori del terrore», gli «organizzatori dello scontro», come pure gli «imprenditori delle armi», insomma gli «affaristi della guerra».
Insomma a un anno e mezzo dalla sua elezione, Papa Francesco ha ribaltato ogni prospettiva: non più dentro ma fuori, non più centro ma periferia, non più distante ma vicino, con gioia, entusiasmo e tanta solidarietà.
Purtroppo, non lo possiamo negare, la cultura contemporanea sembra non aver più nulla da dire né ai giovani né agli adulti; perché pare non credere a nessun valore: la libertà è identificata col capriccio individuale, la felicità con il successo e il piacere, il potere e il denaro: la ragione — come capacità di conoscere la verità delle cose e dei valori morali — è sfiduciata. Il senso del limite e delle regole sembra un insulto alla dignità personale: l’individuo è il centro di se stesso.
La vita viene presentata come il mito dell’eterna giovinezza, dove l’efficienza è d’obbligo e la forma fisica è idolo. Sembra dover essere fatta solo di trionfi e soddisfazioni, dove tutto è facile e dovuto, dove la fatica e il sacrificio sono banditi, dove l’essenziale è apparire, essere visti e ammirati. E la vita concepita come una “passerella”, e pur di salirvi e restarvi si è disposti a tutto! È l’affermazione del nulla: nulla di senso, nulla di valore, nulla di rapporti veri, stabili e costruttivi. È il nichilismo. Ma teniamo presenti gli insegnamenti di Bergoglio.
La vita non è così e se non siamo educati alla vita reale — non a quella virtuale —saranno delusioni gravi e pericolose per i singoli e per la società intera. A tale cultura corrisponde, infatti, presto o tardi il disincanto, la nausea, quella che gli antichi chiamavano “tedium vitae” quella profonda delusione che non deriva da un fattore contingente, bensì dalla vita nel suo complesso.
In questa atmosfera diffusa, che porta a dubitare del valore stesso della persona umana, del significato della verità e del bene, della bontà della vita, la tentazione per molti è di ritirarsi e di rinunciare a ogni avventura educativa.
Ma non dobbiamo dimenticare che la cultura non è una entità astratta, in qualche misura dipende da ciascuno di noi, singoli e gruppi. Possiamo dire che la cultura siamo noi: se gli stili di vita, gli orientamenti complessivi, le leggi hanno un notevole influsso sulla formazione dei giovani – ma anche degli adulti – sia in bene che in male, è anche vero che se ogni persona di buona volontà pone in essere comportamenti virtuosi, e questi si allargano grazie a reti positive che si sostengono e si propongono, l’ambiente in generale può migliorare. Tra ambiente e persona vi è sempre una circolarità, bisogna che la persona si espanda ponendosi in rete.
Don Camillo Perrone