Le attuali cronache dell’inverno in corso riportano frequentemente notizie circa dissesti, esondazioni, inondazioni e instabilità varie del territorio che hanno messo in seria difficoltà l’agricoltura, la rete viaria e di conseguenza le plaghe ancora produttive della regione lucana e non solo. Ingenti perdite a livello finanziario, distruzioni varie. Sono su tutti i telegiornali le immagini di quanti hanno perduto il loro passato, e spesso un futuro, sotto l’irruenza dell’acqua. Lasciamo da parte i nomi sensazionali, come “bomba d’acqua”, e chiamiamo l’accaduto in modo più convenzionale: ciclone extratropicale.
Ormai questi fenomeni meteorologici estremi si verificano con facilità anche alle nostre latitudini per l’innalzamento della temperatura media del pianeta.
Il nostro è un territorio collinoso, montuoso, ad alta densità di popolazione con una scarsa consapevolezza: alludo al territorio del Bel Paese. Si fa molto poco per ridurre il rischio idrogeologico e proteggere le persone. E’ un territorio in un equilibrio delicato, richiede studio e attenzione. Allora, invece di edificare selvaggiamente, deviare fiumi, costringere alvei fra barriere di case, perchè non iniziamo a studiarlo e a usare quelle tecnologie e quei materiali che ci permetteranno di affrontare eventi estremi?
L’acqua, quando viene costretta, ritrova sempre la sua strada. La cementificazione, se non è studiata, diviene una vera autostrada in cui l’acqua può correre più velocemente e portare maggiore distruzione.
Bisogna cominciare il lavoro vero, la politica onesta. Questo spetta ai governi, non le chiacchiere.
Soprattutto nel nostro tempo, l’uomo ha devastato senza esitazioni pianure e valli boscose, inquinato acque, deformato l’habitat della terra, reso irrespirabile l’aria, sconvolto i sistemi idrogeologici e atmosferici, desertificato spazi verdeggianti, compiuto forme di industrializzazione selvaggia, umiliando – per usare un’immagine di Dante Alighieri (Paradiso, XXII, 151) – quell'<<aiuola>> che è la terra, nostra dimora.
Occorre perciò stimolare e sostenere la <<conversione ecologica>>, che in questi ultimi decenni ha reso l’umanità più sensibile nei confronti della catastrofe verso la quale si stava camminando. E’ un falso dilemma. Colpa della natura o degli uomini? Nelle precipitazioni c’è l’influenza delle emissioni, del ritardo davanti all’effetto serra. Nella fragilità dei suoli ci sono la trascuratezza e la cementificazione. In qualche misura dipende da noi. Così come la tardività dei piani regionali e comunali è una colpa precisa. Dunque è inaccettabile e insincero il fatalismo di chi accusa il cielo. Ma è inammissibile l’inerzia di chi pure riconosce le cause umane.
Inerti sono i politici, non solo in Italia, ma anche i cittadini che non premono, non scelgono programmi veri, non designano uomini dediti all’interesse generale.
Il territorio regionale lucano poi e la sua prevalente orografia montano-collinare, in concomitanza a forze naturali avverse ed a passati sfruttamenti indiscriminati del bosco, oggi più che mai impongono con urgenza interventi sistematori.
Scaturisce quindi che lo studio di una frana va condotto in termini sia qualitativi sia quantitativi senza trascurare tutte le possibili interazioni. Ogni frana è il risultato di molteplici condizioni fisico-ambientali che interagendo tra loro interferiscono sulla stabilità di un territorio. Si fa riferimento alle complicanze geologiche sia intese come caratteri strutturali singenetici e tettonici, sia morfologici litostratigrafici, petrografici e mineralogici, agli aspetti geotecnici, agli aspetti climatici e antropici.
Accanto alla continua pericolosità dell’evento e al rischio che il dissesto si verifichi è possibile ora attuare una prevenzione attiva. Occorre coordinare le competenze in materia di difesa del territorio lucano.
Si ritengono opportuni questi interventi tecnici: inquadramento geologico con individuazione degli elementi morfologici indicativi del dissesto senza trascurare lo studio delle zone limitrofe; studio delle stratigrafie di sondaggi meccanici programmati, in numero sufficiente a ricostruire più sezioni dell’ammasso in frana (eventualmente con l’uso contemporaneo di carotassi nucleari in grado di individuare la superficie di rottura); studio delle caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni coinvolti nel fenomeno; studio nel tempo dei livelli piezometrici e degli spostamenti tramite piezometri e inclinometri; studio della stabilità del pendio con modelli di calcolo più o meno sofisticati e altri accorgimenti geotecnici adatti, eventualmente.
<<Il monte condiziona il piano>> è questa una verità conosciuta da sempre. La questione della difesa del suolo dunque, deve riguardare prima di tutto i bacini alti e medi dei corsi d’acqua. Le opere di regolazione delle acque, la sistemazione idraulico-forestale, devono far parte dell’assetto generale del territorio della montagna e della collina.
In conclusione, adesso bisogna cominciare il lavoro vero e serio, la politica onesta e attenta . Questo spetta ai governi. Non pochi milioni di consolazione.
Don Camillo Perrone, Parroco emerito di San Severino Lucano