(racconto del 2008 originariamente scritto per il blog leucodermis.blogspot.it, ispirato ai racconti di mio nonno, contadino, pastore e… soldato, di cui porto il nome)
La notte ha invaso la foresta portando col buio l’aria gelida del crepuscolo. I due pastori sono accampati in una radura in mezzo ai faggi. Hanno acceso un fuoco per ripararsi dal freddo. Il bagliore del fuoco è un fascio di luce abbagliante che dipinge di rosso i tronchi dei faggi. Faville di luce volano disperdendosi tra i cespugli. Ombre scure si aggirano tutt’intorno come spettri. Trascorrono la notte assieme alle mucche e ai loro cani mastini. Lontane sono le loro case, giù al villaggio situato a valle. Le loro mogli non sanno cos’è l’apprensione. Per questi uomini la montagna è una casa all’aria aperta. E’ normale che stiano qui. E’ tra queste distese fatte di pascoli e boschi, terreni arati, sorgenti e sentieri che si svolge la loro vita. Ogni posto qui ha un nome e una storia; non c’è un fazzoletto di terra su cui i pastori non abbiano posato i loro piedi callosi. La fibra di questi uomini sembra fatta della stessa materia della montagna. Hanno volti spigolosi come rocce e membra nodose come i rami di un albero secolare. Un po’ di pane e lardo, qualche pera, l’acqua delle sorgenti montane, basta a questi pastori per affrontare giornate intere sui pascoli d’alta quota. La loro vita sembrava destinata a non mutare, come non muta il tramontare del sole e l’avvicendarsi delle stagioni. Ma la Storia un giorno li ha strappati a quell’ esistenza chiusa tra villaggi, sentieri di montagna e ovili per catapultarli in una distesa infinita, da invadere attraverso schiere di uomini in divisa. Lo Stato, questo strano dio che esige sacrifici di sangue, li ha spediti al fronte per tre anni. Tre anni via da queste montagne, in un mondo tutto nuovo, per certi versi incomprensibile. Nuove terre, grandi città, distese desertiche e gelate, lingue e dialetti mai ascoltati prima. L’incontro con un nuovo mondo creato da divise e battaglioni, con cui travestire e nascondere la volontà di uomini inconsapevoli. E poi il tuono della battaglia, il rumore assordante dell’artiglieria, i fulmini di fuoco dei cannoneggiamenti, i corpi sfregiati dai proiettili, le granate, le urla, il sangue sulla neve e quel freddo che penetrava nelle ossa… il gelo tagliente della steppa. La morte che sorrideva beffarda, sempre in agguato ma sempre inaspettata. Essi non capivano. Come attori inconsapevoli erano parte di quello spettacolo. Al fronte la scena era occupata dalle forze titaniche di un regno infernale, che si materializzava sulla terra come un incubo recondito della storia. Il loro buon senso contadino era un residuo del tempo che fu ed essi uccidevano e morivano nell’insensatezza delle proprie azioni. Ma la montagna ha affogato questi tre anni nel ritorno alla vita di sempre. Il paese, i figli, le stagioni e i il lavoro paziente del contadino… lavori diversi per ogni stagione. L’aratura, i raccolti, e la neve dell’inverno, che addormenta i villaggi avvolgendoli in una distesa bianca e silenziosa. Ma quei ricordi sono ferite laceranti, che il silenzio e la muta bellezza di queste valli non riusciranno a rimarginare. Stanno parlando proprio della loro guerra i due pastori. Stare attorno al fuoco aiuta a rievocare quegli eventi terribili; e il suo calore rassicurante sembra quasi renderli meno dolorosi… La serenità del fuoco e la calma della notte sono però interrotti da qualcosa. Dei guaiti squarciano il silenzio della notte. Li conoscono ormai, ci sono abituati, ma ne sono sempre spaventati. Sembrano urla imploranti, ed è come se giungessero da qualche dimensione oscura della foresta. Un ignoto che non si può comprendere. Sono gli ululati e i guaiti del branco dei lupi, che attaccano la mandria. I cani digrignano i denti; all’odore e ai richiami di quel mondo selvaggio, hanno rizzato il pelo, seguendo un istinto di alleanza con gli uomini che si perde nei millenni. I due giovani pastori accorrono subito. Gli occhi dei lupi brillano nell’oscurità, il bestiame muggisce spaventato. I pastori cominciano a tirare sassi verso i lupi… Le pietre arrivano a tiro ma i lupi non vogliono lasciare la preda. Nonostante abbiano paura di quegli uomini non intendono fuggire. I loro guaiti si sono fatti angoscianti. Questa notte non vogliono proprio andarsene. Sembrano reclamare disperatamente la loro parte di sangue, la carne viva, che sola può acquietare la loro fame. Mentre lancia sassi e pezzi di legno, uno dei pastori vede ancora le immagini della guerra. Quei guaiti angoscianti sono urla di soldati, i battaglioni sono tanti branchi pronti ad assaltare, le grigie divise sono pellicce di lupo, la veste funeraria del soldato… e i militi sono bestie affamate e aggressive che si aggirano nelle bianche e anonime distese di neve. Nella sua mente affiora come un lampo inaspettato l’immagine di un vagone di soldati. In quel vagone c’erano tredici compagni. Avevano dormito là dentro affrontando una nottata con quaranta, cinquanta gradi sotto lo zero. Quando giunse l’alba gli unici a non avere le gambe congelate erano lui e altri due compagni. Era sopravvissuto, perché era forte, era un montanaro abituato al freddo, come i lupi che gli stavano davanti. Viveva in quella terra percorsa da lupi e come essi era stato abituato alle asprezze di quella montagna dall’anima indecifrabile, avvolta da un mistero che sembrava tanto antico quanto le rocce. In guerra erano l’istinto e la forza decidere della propria vita o della propria morte. Altra immagine. Una lunga fila di soldati, in marcia sulla pista gelata. Il ghiaccio che si insinuava dappertutto, i compagni che cadevano stremati in mezzo alla neve… Improvviso come allora riappare nella mente un bagliore di fuoco, un’esplosione, il dolore lancinante del ferro che penetra nelle carni: una scheggia di bomba gli aveva lacerato il bicibite, lasciandogli come ricordo una grossa cicatrice… Un lupo si avvicina a lui, ringhiando e guaendo. Sembra minaccioso, è come se l’animale rifiuti di obbedire ai colpi dolorosi delle pietre; reclama la sua parte di quella carne che lo circonda, vuole azzannare alla gola quelle povere mucche e vede quegli uomini accanirsi per difenderle dai loro assalti. Il pastore lancia un grosso sasso che arriva dritto sotto l’occhio del lupo. Il lupo si ritira guaendo dal dolore. Sotto i colpi delle pietre anche gli altri lupi indietreggiano. La guerra è altro, attiene all’uomo e alla sua incomprensibile civiltà. La battaglia è finita ma i battiti del cuore ignorano la tregua calata in mezzo ai boschi. Il branco si allontana. Il silenzio e l’oscurità hanno inghiottito di nuovo la radura di quell’enorme foresta. La battaglia dei fucili e dei cannoni riecheggia ancora nei ricordi. E’ un’apparizione che si confonde con la battaglia delle zanne, quella che appartiene alla natura del predatore. Ma ecco avanzare dei soldati, nelle grigie divise, affannarsi lungo la pista ghiacciata mentre la pioggia di piombo e il gelo sfidano la loro sorte… Alcuni cadono a terra e il tappeto della candida neve si tinge di rosso, recando l’iscrizione di una tomba sperduta nel mondo. E intorno esplode la tempesta di fuoco, scatenata dai collerici dèi umani, mentre nella natura tutto è silenzio e la neve gelata sembra dormire sotto il fragore delle cannonate…
Saverio De Marco