Avrebbe compiuto 102 anni il prossimo novembre. Longeva, energica, lucidissima e appassionata, Micol Fontana era e rimarrà, nell’immaginario collettivo, la grande dame della moda italiana. Si è spenta il 12 giugno a Roma, lasciando dietro di sé un capitolo fondamentale della storia italiana, quella che ha messo insieme creatività e artigianalità, economia e prestigio internazionale. Tutto cominciò con loro: Micol, Zoe e Giovanna Fontana, tre sorelle cresciute nella sartoria della mamma, a Traversetolo, in provincia di Parma, e a un certo punto fuggite via, per tentare la fortuna, nel cuore di un’Italia dilaniata dalla guerra, ma desiderosa di riscatto.
Nel 1943, salirono su un treno, giocandosi il loro colpo di dadi. Direzione: Roma.
Iniziarono con niente: un piccolo spazio in affitto, un salvadanaio per i risparmi e in principio solo riparazioni: rammendare, pazientemente, nell’attesa di conquistarsi la fiducia delle clienti e di poter investire nell’acquisto dei tessuti.
La prima cliente importante fu Gioia Marconi, la figlia di Guglielmo Marconi. E poi via via, grazie al passaparola e a un innegabile talento, le dame dell’aristocrazia romana, le attrici di Cinecittà, le dive e le signore dell’alta società internazionale: da Jacqueline Kennedy a Grace di Monaco, da Elizabeth Taylor a Audrey Hepburn, da Ursula Andress a Ava Gardner, fino a una giovanissima Linda Christian, promessa sposa di Tyrone Power, a cui l’atelier Fontana confezionò l’abito di nozze nel 1949. Un successo esploso all’improvviso, come la più bella delle favole, tra la provincia anonima e il grande palcoscenico della Capitale. Nel giro di pochi anni le sorelle Fontana incarnarono il mito del made in Italy, costruendone carattere e narrazione nel circuito della haute couture: nel loro atelier ogni cosa nasceva dal lavoro manuale. Tessuti italiani di pregio, stile, amore per i dettagli, classicità e sperimentazione. Negli anni Cinquanta, quando il prêt-à-porter aveva già trovato terreno fertile fra le piazze francesi e americane, anche l’Italia si adeguava al nuovo trend: accanto all’alta moda, che sfornava confezioni di altissimo valore, rigorosamente su misura e indubbiamente costose, nascevano la Moda boutique e l’Alta Moda pronta.
Nulla che potesse lasciare presagire il futuro boom industriale, le grandi catene fashion e i marcati globali: la dimensione era ancora quella della sartoria di classe, ma riuscendo a ridurre costi e tempi grazie a produzioni più veloci, piccole serie ispirate a pezzi unici, dettagli semplificati, tessuti più economici. La moda usciva dai salotti dell’alta società e conquistava anche la piccola e media borghesia. Le sorelle Fontana, in Italia, furono a capo di questa straordinaria rivoluzione.
Micol, che nel 1992 aveva istituto la Fondazione che porta il suo nome, conservandovi cimeli, abiti, accessori d’epoca e usandola come strumento di formazione per le nuove generazioni, difese per tutta la vita la meraviglia e la semplicità di una vocazione: ripartire dal talento, dalla spinta intuitiva, dalla misura dello stile, dal buon gusto; ripartire dalla manifattura come radice nobile e orizzonte umile, alimentando l’urgenza d’innovazione. Il tutto sempre all’ombra di una tradizione monumentale, custodita con rispetto.
Così, Micol Fontana e le sue sorelle hanno conquistato il mondo, trasformando il sogno di fare la moda nel simbolo di un’eccellenza nazionale, fondata sull’unicità dell’artigianato italiano.
Beatrice Ciminelli