SAN SEVERINO LUCANO [.com]

PUDORE E TABU’

a

foto di Carmela De Marco

Avevo solo quattro anni quando un giorno, la gente del mio piccolo villaggio iniziò a chiedermi se preferivo avere un fratellino o una sorellina ed io non sapevo rispondere, desideravo solo una bambola o uno smalto nuovo, non capivo il perché tutti continuassero ad assillarmi con quella strana domanda. Mamma negli ultimi tempi aveva un gran pancione, le signore che venivano a trovarla parlavano quasi in codice per non farsi capire da me. Pensai avesse mal di denti e forse per questo era diventata così grassa! Un giorno giocavo sul balcone, la mamma era nell’orto ad innaffiare le piantine quando gridò aiuto; un gran baccano,poi arrivò papà assieme al giovane medico che casualmente era con lui in bottega e tutti sparirono.
Quella notte dormii nella camera dei miei nonni, nel letto con mia cugina, La nonna mi disse: ”durmiti a capa e a pedi”, una a capo del letto e l’altra ai piedi del letto, come avevano dormito mio padre e mio zio e tutti i bambini 40 anni prima. Accettai quell’ imprevista situazione con estrema serenità e senza paura ma nessuno mi spiegò cosa stesse accadendo. La mattina seguente un uomo sulla sessantina, chiese alla nonna dove fosse mio padre e lei rispose : “gli è nato il figlio maschio!”. Annunciò l’evento con una gioia che non dimenticherò mai. Fu proprio la felicità di mia nonna a svelarmi che qualcosa di veramente bello stava trasformando la mia vita. Rimasi per qualche attimo ad osservare la nonna che mantenendo quel sorriso sul viso, si rivolse a me con dolcezza esclamando: ”papà e mamma sono andati a comprare un fratellino!”. Ebbi un fremito di confusa felicità, mi era stato detto da sempre che le mamme trovavano i bambini sotto dei grandi cavoli e invece quel giorno scoprii che il mio fratellino era stato semplicemente comprato, come si comprava una bambola e che gli adulti nascondevano verità importanti.
Al terzo anno di asilo mio fratello tornò a casa con un bellissimo disegno che ritraeva la mamma con un bimbo dentro la pancia, il tema era: la mia nascita. Ricordo che mamma, nonne, zie e vicine di casa urlarono allo scandalo dibattendo animatamente sulle maestre definite“moderne ma senza scuornu” (senza vergogna). In effetti forse fu la prima volta che le maestre dell’asilo affrontarono questo argomento ( un atto “rivoluzionario” per l’epoca, a pensarci bene).
“Ha persi a mashkira unuri e u cuntegnu” ( Ha perso la faccia, l’onore e il ritegno). Era questa la frase usata dagli anziani negli anni ottanta alla vista di una ragazza particolarmente scollata o dinanzi ad aperte effusioni amorose di fidanzati. Quegli anziani erano abituati ad una società pudica, fatta di regole rigide che condizionava la vita di ognuno e la vita dell’intera comunità.“U Iudicu”,il “giudizio negativo” suonava come la pena da pagare quando tali regole erano state infrante. In quegli anni una voragine culturale tra le nuove e le vecchie generazioni creava uno scontro silenzioso ma potente: da una parte le più anziane che seguitavano a nascondere le gambe persino al televisore acceso e dall’altro, le giovani ragazze con le minigonne, i pantaloncini e i jeans attillati che tentavano di infrangere leggi della comunità obsolete, inadeguate a quegli anni.
Sono state sempre le donne a subire “u iudicu”, a pagare il prezzo di essere  controllate e additate;  s’imponevano loro, fin da bambine, a  proteggere e mantenere  una sorta di  purezza d’animo,dei veri e propri tabù.
Un giorno alle elementari una mia compagna ci svelò il misterioso segreto delle donne, origliato da qualche parte: presto ci sarebbe successo qualcosa di terrificante, del sangue sarebbe colato da tutti i pori della pelle e saremmo diventate “signorine”. Avevo 12 anni quando le amiche di mamma, iniziarono a chiederle in mia presenza se ero diventata “signorina” cioè se avevo avuto la mia prima mestruazione Noi non capivamo quella frase, nessuno ce la spiegò. La capimmo in seguito, fu l’istinto forse che non ha bisogno di parole, a rivelarcene il mistero. L’imbarazzo che io e le mie coetanee patimmo per questa indiscreta domanda era davvero gravoso, ciò che ci era stato fatto vivere come un grande segreto, veniva d’un tratto dato in pasto alle amiche della mamma con una strana e inusuale normalità, capace di disorientarci e ferirci. Le mestruazioni, erano quasi innominabili:“tengu quiddi cunti”, mani vinuti quiddi cunti, “ho quelle cose ,mi sono venute quelle cose”, così si diceva.
C’era una sorta di pudore verso tutto ciò che abbracciava la sfera sessuale ma c’era anche del pudore fortissimo verso i sentimenti. Nel nostro dialetto non esiste la parola “amore”, si díce: “ti voggh’ bene”,che non è usato per sostituire l’espressione”ti amo” intrisa di passione e desiderio. Lo stesso termine “unnammuratu” indica il soggetto di un rapporto clandestino e poco perbene. I sentimenti erano taciti, ma non scontati o meno preziosi di oggi. Era muto e privato di gestualità il sentimento tra padre e figlio e, in pubblico, persino quello tra moglie e marito. Sembrava che i padri avessero il compito d’insegnare ai figli a stemperare la furia delle emozioni, erano quasi obbligati a nascondere in ogni occasione, dolorosa o gioiosa, le loro naturali emozioni.
Quel mondo pieno di tabù e pudori ,è tramontato per sempre, assieme all’infanzia dei bambini degli anni “80. Non so ancora se sia stato un bene o un male averlo conosciuto e vissuto. Il forte senso del pudore rendeva tutto, sentimenti compresi, più importante e intenso ma allo stesso tempo, quando si trasformava in paranoia non era altro che uno dei tanti modi per ferire le ali delle persone, bambine, donne e uomini.

Carmela De Marco

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *